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FRANKENSTEIN DI MARY SHELLEY
(MARY SHELLEY'S FRANKENSTEIN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 febbraio 1995
 
di Kenneth Branagh, con Kenneth Branagh, Robert de Niro, Tom Hulce, Helena Bonham-Carter (Stati Uniti, 1994)
 
"Segnato dalla mano di un uomo uso a tutte le astuzie (ed, a tratti, anche alle seduzioni) dello Spettacolo, il cinema di Kenneth Branagh è destinato probabilmente a vivere con due anime: quella dell'antitesi teatro-cinema, e quella dello sforzo di uscirne. Condizionamenti e dilemmi che molti uomini di teatro passati al cinema si sono portati appresso (gloriosamente, come un Luchino Visconti; faticosamente, come Patrick Chereau) e che nel cinema del grande attore shakespeariano si traducono nella scelta dell'esasperazione espressiva, dell'eccesso formale, delle giravolte inutili in nome del "vedete come sono bravo anche con la cinepresa".

Approfittando delle evasioni nel fantastico offerte dalle fortune recenti del cinema esoterico (il DRACULA di Coppola, l'INTERVISTA COL VAMPIRO di Neil Jordan con Tom Cruise, WOLF con Nicholson) Branagh riesce qui come non mai a far coincidere i propri entusiasmi espressivi con il significato dell'opera: e firma quello che è, dai tempi dell'esordio con ENRICO V, il suo miglior film. Le ragioni sono almeno tre: una solida base letteraria (il romanzo originale di riferimento, quello ottocentesco di Mary Shelley) che assicura alla vicenda i dovuti rinvii ai miti edipici e prometeici del personaggio di Frankenstein, una recitazione impeccabile (da quella incredibilmente impetuosa di Branagh stesso, a quella trattenuta tra violenza e commozione del rabberciatissimo de Niro) che restituisce la logica a tratti compromessa dall'agitazione registica. Ed una splendida ambientazione: sia essa scenografica (gli interni, che variano dal gotico delirante all'astrazione stilizzata) o paesaggistica (l'uso trascendente delle splendide prospettive montane).

All'interno di queste tre dimensioni precise ed organizzate, l'energia prorompente e spesso disordinata di Branagh può così incanalarsi con il massimo profitto: e, in un cinema che ricorda a tratti quello di un altro maestro dell'eccesso, Ken Russell, avere il coraggio di rincorrere fantasmi e soluzioni formali così ardite da apparire sconsiderate. Un coraggio, all'interno degli schemi prevedibili e fiscali che caratterizzano la quasi totalità del cinema a grande budget contemporaneo, nei confronti del quale possiamo anche toglierci il cappello.


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